
“Gli esistenzialisti pensavano che niente accadesse finché l’essere umano non toccava il fondo, ma chi stabilisce qual è il fondo?”
PREMESSA
Fino all’ultimo sono stata dubbiosa se pubblicare o meno questa recensione. Non ho mai avuto tanta difficoltà a dedicarmi a un testo sul piano emotivo, divisa tra il rifiuto di certe realtà, la voglia comunque di “capirne” la logica-non logica e l’apprezzamento dello stile narrativo dell’autore. Ma come sono arrivata a questo libro crudo e disturbante e perché ho deciso di leggerlo? Ogni tanto mi dedico alla lettura dei romanzi dei colleghi autori della Dark Abyss Edizioni e questo romanzo di Fabbrizzi mi ha conquistato subito dal titolo. Di là da questo, però, dopo la lettura di un epic fantasy (scritto magistralmente e da me recensito per il mio GDL) di oltre seicento pagine, avevo bisogno di una lettura che mi ricollegasse alla realtà, un romanzo denso di vita vissuta. E così dopo cavalieri, draghi e fatine (il fantasy classico è un genere molto lontano dal mio mondo) ho preso il coraggio e mi sono buttata in questa lettura, davvero agli antipodi, rispetto al romanzo da me letto precedentemente, e subodorando il profumo degli abissi umani.
Il tuffo nella realtà c’è stato? Sì, ma una realtà così degradata e abietta, che rialzarsi in piedi, dopo la lettura, non è stato facile. Ancora barcollo… Credo che l'unica figura preposta a recensire un libro del genere, con una vera competenza sui contenuti, possa essere solo uno psichiatra. “Il buio non ha lacrime” non è semplicemente un romanzo erotico, sarebbe riduttivo definirlo tale (in realtà di erotismo c'è ben poco, se inteso come espressione di sensualità), perchè il romanzo di Fabbrizzi è un viaggio nelle peggiori pulsioni umane. Si tratta di un libro dalle dinamiche psichiatriche importanti sulla degenerazione dell'anima umana, sulla depravazione che non ammette vie d'uscita, sull'annichilimento di ogni facoltà mentale, sull’autodistruzione e sull’incapacità di esistere nel modo più “sano” possibile, che l'autore maneggia con arte.
Nelle pagine de "Il buio non ha lacrime" i personaggi raggiungono l'apice dell'aberrazione, dove il valore della vita è pari a una pioggia di vetri frantumati. Una discesa agli inferi dalla quale non si può risalire, se non dopo aver toccato il fondo più nero. Ma è davvero possibile toccare il fondo e rialzarsi? E se sì, con quali conseguenze sulla nostra psiche fragile e vulnerabile?
TRAMA
“Vivere a volte è una condanna peggiore della morte.”
Una bambina, Virginia di otto anni, subisce un terribile abuso i cui effetti la inseguiranno nel corso degli anni. Il rapporto di Virginia con l’altro sesso sarà irrimediabilmente compromesso. Da bambina vittima diventerà un’adulta ninfomane, una spietata seduttrice, ma anche una bambola oggetto con l’incessante bisogno di ricevere conferme da parte dei suoi corteggiatori. Virginia è perduta. La violenza subita da bambina lavora nel suo inconscio e condiziona la sua vita. La donna pensa di trovare nel dolore e nella sottomissione la soluzione al suo trauma, quindi non riesce ad andare incontro alla felicità. Il suo passato la perseguita tra incubi e decisioni che non è capace di prendere. La donna, difatti, resta intrappolata in una relazione tossica, con un compagno/non compagno, Simone, che la ama, ma che non riesce a farsi contraccambiare da lei come vorrebbe: Virginia è incostante, lo tradisce, lo umilia e lui per questo si autoinfligge ferite (pratica il cutting nell’illusione di alleggerire le sue pene). Virginia vorrebbe in realtà amarlo ed essere per lui la donna perfetta, ma in lei è il seme dell’autodistruzione e della distruzione. La donna è preda dei suoi fantasmi, anche se cerca di vivere in modo “normale”. Lavora in un bar, ma riesce ad avere un rapporto malato anche con il titolare del locale: quando lei ritarda al lavoro, lui la punisce. Lei, arrendevole, subisce le punizioni con animo, a un tempo, rassegnato e compiaciuto. Virginia, dopo le ore di lavoro, nel tempo libero, si dedica a incontri occasionali, violenti e bestiali, dove non c’è spazio per i sentimenti.
Virginia, trascorsi vent’anni dal suo abuso infantile, incontra casualmente il suo stupratore. Lo rincorre con l’intenzione di affrontarlo, ma… La donna fa trovare in casa una lettera di addio/scuse a Simone, lettera in cui gli esprime in suo senso di inadeguatezza ad avere una relazione con lui e scompare dalla sua vita, pregandolo di non cercarla. Perché? Dove va? Contro ogni logica, torna dal mostro che le ha strappato l’innocenza da bambina. Ma mentre da bambina fu rapita da lui, questa volta la donna dà il suo consenso nel mettersi nelle mani del suo orco, firmando addirittura un accordo di sottomissione. Virginia pare convinta dell’efficacia di questa che potremmo definire una sorta di cura omeopatica, quasi abbia “raggiunto una sorta di inspiegabile fiducia”. È convinta che solo l’uomo causa di tutti i suoi mali possa essere anche il suo guaritore. Inizia così per la donna un viaggio negli abissi, dove la depravazione è il modus vivendi. A questo punto, il romanzo presenta scene illeggibili per gli stomaci “più delicati” (ammetto di aver saltato diverse parti, ma questo non credo che infici la comprensione della trama). Entra quindi in scena un rapporto tra vittima e carnefice da manuale di psichiatria: si va ben oltre alla Sindrome di Stoccolma. Si può perdonare un proprio carnefice? Forse. Ma si può varcare la linea del perdono con il sacrificio di se stessi e oltraggiando la propria dignità?
Sauro, lo stupratore/torturatore, è un essere repellente, che emette afflati nauseabondi, ma non è solo questo. Chi è realmente? E se fosse anch’egli una vittima? Dove si segna il confine che separa il mostro dall’essere umano? La figura del carnefice-vittima di se stesso è il tema perno del romanzo, tema che allarga lo scenario nella dimensione del “sottomesso” a una Mater Mistress (gli accadimenti violenti/erotici afferiscono al BDSM).
Nel frattempo, per tutto il periodo in cui Virginia scompare, Simone non si dà pace e si avvale di un investigatore privato per ritrovarla, convinto che la fuga di Virginia sia legata al suo passato. Altro abisso che si apre: l’abisso a cui può portare l’amore.
L' epilogo ha il sapore del riscatto e della consapevolezza, anche se ottenuti per perigliose vie oscure.
TEMI TRATTATI
Una lettura cupa e sconvolgente, che non lascia scampo sugli effetti post lettura, che potrebbero andare, nella migliore delle ipotesi, a riflessioni sulla psiche umana (fin dove l’uomo può spingersi per assecondare i suoi più biechi istinti? Qual è la linea di confine tra bene e male? Può un trauma subito condizionare la nostra vita fino a perdere il senso della vita stessa? Può il dolore fisico e psichico essere il mezzo per neutralizzare uno shock mai superato? Per amore si può arrivare a uccidere? No, per amore no, ma per ilcontrapposto senso del possesso, sì), o nella peggiore ipotesi, a incubi notturni, anche sul non-letto. A me personalmente sono capitate entrambe le cose.
Sui temi concedetemi di fare un piccolo parallelismo con il mio “Chiamata dall’Inferno” il cui il tema del “passato che ritorna” e della discesa agli Inferi con un Virgilio come guida è centrale (Sauro/Virgilio per Virginia e Alpheus/Virgilio per Jessica… Ops, abbiamo pure un nome in comune, perché c’è una Jessica anche nel romanzo di Fabbrizzi e con una eguale caratteristica alla J. di Chiamata.)
Il passato che ritorna
«Non puoi uccidere il passato» disse Sauro, ansimante. «Puoi accantonarlo, ferirlo, trasformarlo al punto da renderlo una menzogna, ma resterà vivo. E ti troverà, ovunque tu sia. Perché il passato non muore mai, come i cattivi dei film horror».
Dolore
“Dolore ed erotismo avevano un legame indissolubile”
Il dolore di cui parla “Il buio non ha lacrime” è un dolore profondo che non risparmia nessuna pagina. È il dolore di Virginia, una cancrena della sua anima, che le impone una condotta scellerata. È il dolore di Simone, che cerca disperatamente di essere contraccambiato nei sentimenti da Virginia, e che lo porta alla follia.
Solitudine
La solitudine interiore dei personaggi è un tema che scotta per le sue implicazioni emotive e per le conseguenze a cui porta. La solitudine prende la forma del dolore incominicabile, della rabbia tagliente e della devianza.
PERSONAGGI
Un cast, quello scelto dall’autore decisamente inquietante. I personaggi, chi per una ragione e chi per un’altra, sono incapaci di vivere un’esistenza equilibrata o, nell’accezione più positiva del termine, “normale”. Si ritrovano a lottare contro la parte più oscura di sé. Tendenti all’autodistruzione, sono anime corrotte, che riescono a farsi del male, costruendosi lacci psicologici dai quali non riescono a uscire. Il lettore può, come sempre, scegliere di empatizzare con i personaggi ed entrare nella loro dimensione psichica (reazione agevolata dalla penna dell’autore, capace di rendere il lettore partecipe di ogni moto emotivo, calandolo nella sofferenza ) o prenderne le distanze per leggere la loro storia in modo distaccato, sebbene analitico (altamente improbabile). Potrebbe esserci anche una terza via, quella di non scegliere, di lasciarsi guidare dalla storia e accettarla per quella che è: un lugubre valzer di anime in pena sulla pista dell’inferno.
Il lettore, in ogni caso, grazie alla penna incisiva di Fabbrizzi avrà chiaro che il comportamento di ogni personaggio, fosse anche il più terribile, è originato da una profonda tristezza e vuoto interiore incolmabile, se non dallo stesso dolore, che diviene la terapia per “sentirsi vivi”.
Virginia
Perchè la donna accetta di tornare dal suo orco? Forse per trovare in lui una giustificazione al suo comportamento?
In questa particolare circostanza, preferisco delineare il ritratto della protagonista con una selezione di citazioni dal romanzo.
La sua mente era un motel abbandonato e l’anima vagava fra le rovine del suo amore. Dal cimitero di sogni si levavano i lamenti agonizzanti delle promesse, e il terreno umido di lacrime ospitava fotogrammi di una serenità ormai sepolta da troppe morti.
La cattiveria era una droga. Il sadismo era la chiave per il rispetto. L’umiliazione, il segreto per imporre la propria autorità.
Ma chi era davvero Virginia, purtroppo, non lo sapeva nemmeno lei.
Aveva ventotto anni e una tela bianca come personalità.
Sì, Sauro aveva ucciso la sua innocenza ma lei aveva banchettato con il cadavere.
… non riusciva a sottrarsi alla mortificazione.
Simone
Da sottomesso a una donna di cui si è innamorati a sad killer il passo può essere breve? Nel caso di Simone...
Sauro
Il mostro che viola l’innocenza di Virginia, rendendosi indimenticabile anche olfattivamente, rimanendo il suo odore miscela di alcool, tabacco e pomodoro ammuffito, indelebile nelle narici della donna.
Lui era tutte le cose che non andavano male nella sua vita. Lui era gli incubi, le urla in piena notte, gli attacchi d’ansia, le menzogne, i tradimenti. Lui era il motivo per il quale non avrebbe mai avuto una vita normale.
Era l’incubo ad aver seguito la realtà e non viceversa.
Igor
Detective ingaggiato da Simone per investigare sulla sparizione di Virginia. Dipendente da sostanze e alcol, è comunque molto capace e comprende subito che c'è qualcosa di oscuro nella mente di Simone.
STILE NARRATIVO
La scrittura di Fabbrizzi, adeguata al genere, è una scure a doppia lama, una per raccontare l’indicibile, alternando con abilità poesia e turpiloquio, e l’altra per dare il colpo di grazia sul finale, sempre ad alto tasso di indigeribilità. Non saprei se Fabbrizzi è tacciabile di eccessiva generosità nell’elargire dettagli di scene sessuali, ma forse no, trattandosi di un romanzo dove sesso e perversione sono centrali (quanto, però, tengo a sottolineare, i loro effetti sulla psiche umana). Il mio unico termine di paragone è “L’amante di Lady Chatterley”, perché non ho letto mai altri libri attinenti al tema “erotismo” o di genere erotico, ma il romanzo di Lawrence è davvero un libro per educande al confronto.
Samuele Fabbrizzi ha certamente l’arte della scrittura in mano e sa come tenere inchiodato alle pagine un certo tipo di lettore, ma anche un avventuriero della lettura, come sono stata io, nel leggere il suo libro. Tuttavia, non esagero nel dire che questo libro, nelle mani sbagliate, potrebbe risultare traumatizzante. L’autore è abilissimo nel condurre il lettore nell’abisso che ha creato, abisso che rigurgita i personaggi, restituendoceli con caratteri nuovi e ancora più inquietanti (vedi la trasformazione di Simone e anche quella di Virginia dopo l’incontro con Sauro). Un abisso, come detto, fatto di depravazioni e rispetto al quale il lettore è un testimone funambolo, attento a non precipitare.
Consigliato a un pubblico adulto ben corazzato, nella consapevolezza che è un libro che tratta tematiche BDSM, abusi fisici e psicologici con un linguaggio esplicito, e che impone al lettore di porsi domande di non facile soluzione. NOTE
Grafica e impaginato: molto curati.
Playlist indimenticabile e spezza anima!
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