ALTRO
È un errore madornale confondere l’uomo con l’artista. Un errore che, da secoli, ha offuscato l’accesso alla verità più profonda dell’arte. Van Gogh fu considerato un folle, Caravaggio un assassino. Eppure, la luce che ancora oggi promana dai loro quadri è immortale.
Come ignorare allora la poesia di Antonin Artaud, che passò la vita tra manicomi e deliri visionari? O la potenza bruciante delle parole di Charles Baudelaire, alcolizzato e oppiomane, e di Arthur Rimbaud, l’enfant terrible della poesia maledetta? E ancora: Egon Schiele, accusato di pornografia e scandalo, ma autore di opere di struggente bellezza e inquietudine. William Burroughs, tossicodipendente e autodistruttivo, ma pietra miliare della letteratura beat. Jean-Michel Basquiat, devastato dalla droga e dal disagio razziale, eppure genio assoluto del colore e della ribellione. Persino Beethoven, collerico, scontroso, a tratti paranoico, compose musiche che sembrano dettate dagli angeli. E Kurt Cobain, anima sensibile e tormentata, leader dei Nirvana, che ha trasformato la sofferenza personale in un inno generazionale prima di morire suicida, travolto da un’overdose e da un dolore esistenziale insostenibile.
Ma attenzione: ricordare queste biografie non significa cadere nel cliché romantico dell’arte come frutto esclusivo del dolore. L’arte nasce anche dalla gioia, dalla meraviglia, dalla gratitudine. Può scaturire da un’illuminazione amorosa, da un’armonia interiore, da una comunione con la natura o con l’altro. Pensiamo a Marc Chagall, a Mozart, a Raffaello: le loro opere cantano la luce, la bellezza, la speranza. Non esiste un solo sentiero per la creazione: l’arte è il riflesso amplificato dell’umano, in tutte le sue sfumature. Dolore e amore, oscurità e luce, abisso e ascensione: tutto può generare bellezza, se filtrato dallo sguardo profondo dell’artista.
L’opera d’arte non è la somma delle colpe o delle virtù del suo autore: è un linguaggio autonomo, una dimensione altra. L’arte sopravvive al corpo, alla biografia, al peccato.
Ozzy Osbourne ne è un caso emblematico. Sì, ha compiuto atti che oggi ci turbano, ci spaventano: ha morso la testa di un pipistrello, pensando fosse finto; ha fatto lo stesso con una colomba, durante un momento delirante d’alcol e droga. Ha raccontato, con orrore e dolore, di aver sparato a 17 gatti durante un crollo psicotico, sotto l’effetto di sostanze devastanti. Ha anche confessato di aver rischiato di uccidere la moglie in un momento di blackout.
Atti imperdonabili? Sì, se li isoliamo. Ma l’uomo, non l’artista, va contestualizzato. Era un’anima tormentata, cresciuto in una Birmingham operaia e cupa, devastato da dipendenze e intrappolato in un sistema musicale che esaltava l’eccesso e l’autodistruzione. Chi lo ha conosciuto davvero sa che non odiava gli animali. Certo non era antispecista, non era vegano, come non lo sono milioni di artisti purtroppo. Ci sono video che lo ritraggono mentre salva un gatto in pericolo, circondato dai suoi animali domestici, con tenerezza e cura. Non era un mostro. Era un uomo rotto. Fragile. Confuso. E, nel tempo, pentito.
Non ha mai fatto vanto di quei gesti. Non ha mai detto “lo rifarei”. Li ha raccontati con orrore, con rimorso. E la sua musica, i suoi testi, sono il canto dolente di un uomo che ha chiesto perdono, a Dio, agli altri, a sé stesso. Canzoni come Mama i'm coming home, No more tears, Road to nowhere, Dreamer non sono solo brani: sono confessioni, visioni, suppliche. E allora perché ridurre tutto a un morso, per quanto atroce?
È tempo di riscoprire l’arte e non il pettegolezzo. Il valore eterno della creazione, e non il fango della cronaca. Perché l’opera non è il peccato: è la redenzione.
Demonizzare un artista per la sua vita tormentata, per le sue ombre, è una forma di vigliaccheria morale. Soprattutto se a farlo sono persone che piangono per un gatto e poi si mettono una bistecca nel piatto. Il mio antispecismo non giudica. Invita. Osserva. Denuncia l’ipocrisia. Ricorda che gli animali meritano rispetto sempre, non solo quando ci è comodo (non è per un gatto è un animale domestico, merita di vivere più di una mucca).
No, Ozzy non era vegano. E nemmeno la maggior parte degli artisti che adoriamo. Sono esseri umani in un mondo che troppo spesso accetta la violenza come norma e punisce la fragilità come colpa. Non si tratta di giustificare, ma di comprendere. Di smettere di crocifiggere. Noi tutti siamo fatti di contraddizioni e dal dibattito con le nostre contraddizioni, nasce anche l’arte.
E che dire di Marilyn Manson, che “spaventa” fin dal nome? Una fusione geniale di Marilyn Monroe, icona della bellezza, della dolcezza e della femminilità, e Charles Manson, simbolo del male. Una dicotomia fortissima, un pugno allo stomaco della cultura pop americana. È un provocatore, sì. Ma anche un intellettuale. Un artista a tutto tondo: musicista, pittore, simbolista. Sotto le maschere, un pensatore lucido e raffinato.
È stato accusato, etichettato, linciato da un’opinione pubblica sempre più isterica e superficiale. Ma il suo presunto “satanismo” è teatrale, performativo. “Facevo parte della Chiesa di Satana con una posizione onoraria, ma non mi sono mai considerato un satanista”, ha detto. Era il suo modo per scuotere, per costringerci a guardare le ombre che rifiutiamo di vedere. Simboli, non fede. Estetica, non culto. Il satanismo laveyano stesso, quello filosofico, è molto più vicino a Nietzsche che a Satana.
Manson ha superato con le sue cover gli originali: Sweet Dreams è un capolavoro oscuro e sublime, Tainted Love un inno moderno alla lussuria e all’alienazione. Ozzy ci ha lasciato canzoni che ci accompagnano come preghiere laiche: Changes, Mr. Crowley, See you on the other side.
Siamo ben lontani dai versi dei decerebrati che inneggiano a droga, alcol, violenza veramente e senza né dolore né ironia, trapper dell’ultima ora.
Non esiste arte senza dolore. Non esiste creazione senza dissidio. Chi pretende l’artista santo, l'uomo irreprensibile, non ha capito nulla dell’arte. E neppure dell’essere umano.
È facile giudicare con i paraocchi. Più difficile è vedere davvero. E accettare che il genio, a volte, abiti corpi sbagliati, percorsi tortuosi, errori imperdonabili. Ma la fiamma dell'arte arde oltre. Sopravvive.
Criticare è legittimo. Crocifiggere, no.
Grazie Ozzy, grazie Marilyn, per averci mostrato che anche dal buio si può cantare. E che la bellezza non è sempre un volto sereno, ma a volte un urlo. Un graffio. Un bacio sulla fronte del dolore.
L’ARTE NON È L’UOMO. L’ARTE È PIÙ DELL’UOMO.
P.S. Queste riflessioni provengono da un’antispecista vegana, profondamente disgustata da ogni forma di violenza, che NON GIUSTIFICA MAI, ma capace di riconoscere e onorare la forza dell’arte, indipendentemente da chi la produce.
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