
DESCRIZIONE
Un giovane detective alle prese con l'occasione che può cambiargli la vita; due studentesse disposte a tutto pur di scansare la giusta punizione; una ragazzina che porta sulle spalle il peso di una azione terribile; un poliziotto, un mafioso e la città più corrotta del mondo; un vecchio pugile, dispensatore di saggezza; un uomo grande e grosso, con la mente e il cuore di un bambino; una donna disperata in una strada senza uscita; un incontro destinato a rispondere alla più importante delle domande. E una incredibile, appassionante sfida al lettore.
Cose di Jack Rubino: otto racconti per esplorare il mondo del più affascinante e sconclusionato occhio privato di New York.
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Cari lettori,
mi rendo conto di essere sparita dai social e dal mio stesso blog… e sì: mi sono goduta la vita all’aria aperta, certamente anche in compagnia dei miei amici libri. Da oggi riapro le danza e lo faccio con una raccolta di racconti particolare, che mi ha tenuta incollata e sorpresa: mi ha pure fatto giocare. Il “gioco” di Raguzzino mi ha divertita, e sì: ho indovinato quale racconto è stato scritto con un’AI. Mi (ri)specializzerò in editing di testi generati da macchine; non posso rivelarvi i trucchi del mestiere, ma vi assicuro che a volte basta una semplice virgola: è una spia più loquace di cento aggettivi.
Veniamo alla recensione:)
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Raguzzino mette in scaffale otto racconti che abitano il piccolo universo dilatabile del suo amato personaggio Jack Rubino (cui ha persino dedicato il nome della sua casa editrice): noir di Hell’s Kitchen, scorribande lagunari, campus law–comedy, confessioni allo specchio. Apre, furbescamente, con una “Sfida al lettore”: uno dei racconti è stato scritto da un’IA (Gemini); la soluzione è negli “Appunti” finali. Il lettore è chiamato a giocare, non a “smascherare il colpevole”, ma l’autore del testo: umano o macchina? Troppo carina la cosa :)
Cosa funziona (molto)
La voce di Jack. L’incipit di “La grande occasione di Jack Rubino” è una piccola poetica dello sguardo allo specchio: uno scatto di auto–disprezzo, un sorriso storto, e subito scelta e azione. È pulp con autoironia, un Chandler ripassato nella salsa dell’auto–sabotaggio: «Mi sono fatto fregare un’altra volta…»; poi Venezia, casinò, un incarico privato che profuma di trappola e una collana troppo pesante per non tirare a fondo. Qui Raguzzino domina ritmo e svolte, tiene in aria morale e beffe e... e il personaggio regge!
Funziona egregiamente anchhe il controcanto processuale. “Difesa a sorpresa” porta l’'azione in un campus del Wyoming: consiglio disciplinare, presidente William Norton, la brillante Catol Hatway che ribatte cavilli al cospetto di un professor McAlister “ospite scomodo”. È un legal drama asciutto e frizzante, con u orecchio per la dinamica d’aula e un senso del controtempo comico che alleggerisce senza sciogliere la tensione. Figo? Yes!
Il racconto tutto–dialoghi ;) , “Cinquanta minuti” è un esercizio di pura voce: solo battute (eh eh eh! Sscritto in stile Breathless… mi sono sentita a casa), sedute di psicoterapia cronometrate (sveglia che starnazza come un’oca), e un’intimità che si costruisce a colpi di omissioni.
Le faglie emotive :)
“La ballata di Russell” è il capitolo che graffia di più: memoria traumatica, lessico scabro e confessione senza sconti – una lama che entra e non chiede permesso. In “Freedom. Un blues di Hell’s Kitchen” l’autore rovescia un monologo sulla violenza di genere: è un pezzo volutamente scomodo, che mette in questione il maschile come struttura e come alibi. Qui la pagina pulsa di rabbia politica... e si sente.
“Una scelta difficile per Jack Rubino” è quasi un faccia a faccia tra autore e creatura, perché Jack è l’“E se…?” di Andrea: l’altro possibile sé, quello che fa scelte diverse e ci permette di interrogarle. È meta–racconto onesto e tenero, che rende esplicito il patto affettivo con i personaggi.
Dove scricchiola... e perché ha senso che scricchioli?
C’è un racconto, dichiarato negli “Appunti” come quello scritto con l’AI, senza che io qui lo spoileri, in cui si avverte una diversa “temperatura sintattica”: esposizione più lineare, motivazioni didascaliche, frasi “piatte” che arrivano in fila indiana. È interessante più come esperimento che come vetta stilisticae il confronto col resto del volume è illuminante per capire dove l’umano vibra: negli scarti, nei silenzi, nelle micro–stonature intenzionali. (Se volete togliervi lo sfizio: l’autore rivela titolo e metodo negli “Appunti”, spiegando di aver dettato scena per scena a Gemini e di aver completato in poche ore).
Altrove, ogni tanto, l’aggettivazione s’impigrisce in formule di genere; qualche gag indulge nella caricatura, ma è fisiologia del pulp, non patologia. La cifra prevalente resta una scrittura energetica, cinematografica, con dialoghi che fanno il lavoro sporco (e bello) della caratterizzazione.
Il “gioco” e il lettore
La sfida Ellery–Queen–style non è un vezzo: costringe a leggere “in diagonale verticale”, a sentire il passo della prosa; ti addestra a distinguere ritmo da ricetta. Che io l’abbia indovinato conta poco: più interessante è come la raccolta ti alleni a farlo e come l’autore, negli “Appunti”, renda trasparente il backstage dell’operazione.
Che cosa dirvi d'altro? Mmh... Cose di Jack Rubino è un piccolo laboratorio narrativo: tra noir, legal, romanzo di formazione laterale, e un gesto meta–autoriale che vale da saggio pratico sull’ibridazione uomo–macchina. Si legge per Jack, certo; ma si resta per le donne che gli tengono testa, per i tribunali popolati di studenti, per i canali bui dove la morale scivola come alghe. E per quella pagina finale in cui l’autore dichiara l’amore (sì, amore) per la propria creatura e per chi la legge.
Consigliato a: chi ama il noir con il sorriso storto; chi si diverte con i dispositivi formali; chi è curioso di capire davvero cosa “fa” un’AI quando scrive narrativa.Voto personale: 4/5/ mafacciamo pure 6! (una stella extra per i Cinquanta minuti e al coraggio di piazzare un racconto machine–made accanto agli altri senza rete). Una seduta di psicoterapia tutta giocata su voce e silenzi, scandita dal timer della sveglia: niente cornici rassicuranti, solo battute che si rincorrono e si accavallano. È un racconto che respira e ansima come chi sta in analisi: l’assenza di narrazione ti costringe a mettere in scena tu stesso lo studio, le posture, i non detti. L’effetto? Straniante, intimo e un po’ malizioso: pura drammaturgia da leggere con l’orecchio più che con l’occhio. Un vero Breathless, come gli dèi comandano!
(Trucco del mestiere? Non oggi. Però ricordatevi della virgola.)
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