Carissimi,
benvenuti nella rubrica dedicata agli autori della microeditoria No Eap. Chi di voi già mi segue sa che nelle interviste tendo a essere irriverente e dissacrante, ma in questa sede cercherò di fare la brava e di limitarmi a domande mirate a conoscere meglio l'ospite della giornata. Dalle risposte certamente avrete agio di conoscere meglio la persona che si nasconde dietro un'opera letteraria o poetica. Molto, infatti, anche di inaspettato può emergere da una semplice chiacchierata.
E ora pronti a conoscere un po' meglio Nicola DE Dominicis come persona e come autore? Sì? E allora vamos! Eh no! Prima vi ricordo di iscrivervi al gruppo Facebook che amministro ("Solo editoria non a pagamento"), sempre che siate curiosi di scoprire nuovi autori della microeditoria No Eap.
Chi si nasconde dietro l’autore Nicola? Puoi parlarci un po’ di te, delle tue passioni e dei tuoi interessi?
Un uomo che cerca un senso nella realtà, negli eventi che gli succedono ogni giorno, nei suoi stessi sentimenti e modi di essere attraverso la scrittura, perché scrivere è la registrazione continua, attenta, a volte quasi ossessiva, di me stesso e del mio mondo.
Che bambino era Nicola? E che adolescente?
Un bambino molto dolce, un adolescente inquieto. Un bambino amato, molto, un adolescente spesso fuori posto con gli altri, introverso, inquieto, desideroso di conoscere mondi diversi.
Se dovessi raccontarti con un quadro, quale quadro sceglieresti e perché?
Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich. Vi ritrovo la mia stessa tensione alla scoperta e faticosa comprensione del mondo esteriore per poi rendermi conto che quel mondo esteriore dipende sempre dal mio mondo interiore, perché gli occhi vedono l’intorno così come l’interiorità smania e vive.
Ci vuoi raccontare qualche aneddoto legato alla stesura del tuo libro di poesie “L’estraneo perfetto”?
Ogni poesia, sfogliando il libro, è una fotografia della mia vita. “L’uomo sbagliato”, una delle poesie più amate della raccolta, è nata in attesa dal barbiere, dopo aver litigato con una ragazza, come sfogo del momento, senza pensarci troppo, scrivendo sul cellulare, e salvata in memoria quasi senza volere. Oggi è tra le più apprezzate. Ma il suo carattere momentaneo non deve far pensare a uno scrivere superficiale, privo del necessario labor limae, cioè di quella certa revisione e attenzione stilistica, perché se il testo può nascere nelle occasioni più disparate, dentro, però, nell’animo di chi scrive, agisce pur sempre una scrittura interiore continua. In sostanza ci si scrive dentro per poi buttare tutto sul foglio in modo fisico.
La tua location ideale per scrivere?
In treno. (Come ti capisco!) Spesso per lavoro devo vivere da pendolare. Il tempo del viaggio potrebbe essere un tempo morto, e invece, scrivendo, diventa al contrario un tempo fecondo di creatività, immagini, concetti, e tutto questo in una condizione di totale libertà da altri impegni perché l’atto stesso del viaggio ti costringe a una pausa transitoria da tutte le altre attività. Scrivere in viaggio, secondo me, vuol dire scrivere in una condizione di sospensione e estraneità dal resto del Mondo. Condizione, io credo, ideale per ogni autore.
Quali generi letterari ti appassionano di più?
La narrativa in generale per il gusto della storia, la possibilità di perdersi in altri mondi e di conoscere nuovi, incredibili personaggi. E poi la poesia per il bisogno di ritrovare sul foglio l’espressione di sentimenti e stati d’animo simili ai miei, ma che il poeta ha saputo rendere come io non avrei saputo fare.
Un ricordo legato alla scrittura?
Al liceo ero un ragazzo introverso, spesso ostile, non mi sentivo a mio agio in quell’ambiente, e i miei compagni di classe mi sembravano soltanto dei figli di papà viziati e superficiali. Ero “fuori dal coro”, come si dice.
Un giorno, però, eravamo in classe durante l’ora di algebra quando, all’improvviso, apparve il preside. Lo si vedeva poco a scuola, per non dire mai, dato il suo doversi moltiplicare fra più istituti senza aver doti di ubiquità. Per tanto, la sua presenza suscitò subito curiosità.
Il preside entrò, ci fece cenno di sederci, e poi chiese di me. Perché io? Cos’era successo. Mi avvicinai alla cattedra esitante. «Lei è De Domicis!?» fece. «Sì» fu la timida risposta. «Volevo farle i complimenti per il concorso di Poesia!». Avevo partecipato a un concorso scolastico di poesia. La gara riguardava diversi istituti. E avevo vinto! Fu un momento bellissimo, ma non per la vittoria in sé, bensì per la reazione dei miei compagni di classe e del mio professore, Caforio, me lo ricordo ancora. Si complimentarono tutti, tutti contenti davvero, di cuore, glielo leggevo negli occhi. Per una volta mi sentivo incluso, e non escluso, in classe. O forse il problema ero io. Anzi di sicuro. Erano i miei occhi a guardare male perché male consigliati da quel Iago petulante che avevo per cuore. Dovevo cambiare. Incominciai proprio da allora. Avevo vinto non una semplice coppa, ma un sentimento di inclusione in un gruppo, il premio più importante, allora, per me.
Che bello!
Parliamo di nevrosi e paure dell’uomo moderno. Pensi di avere un equilibrato rapporto tra mondo spirituale e mondo materiale?
Provo a trovarlo attraverso la scrittura, perché scrivere vuol dire per me proprio tenere traccia, e in qualche modo ordine, del mio rapporto con gli altri, con il Mondo, e nel contempo con me stesso, la mia interiorità. Una sorta di grande diario in pratica. E guardando a questo diario continuo cerco di migliorarmi, di crescere.
D’altronde, questo è il senso del mio ultimo libro, L’estraneo perfetto, una raccolta di poesie dove ogni testo vuole essere la tappa di un cammino più grande il cui traguardo coincide con la possibilità di diventare, appunto, l’estraneo perfetto, cioè quella persona che si sente sì diversa, estranea, rispetto alla massa, alla folla dei “normali”, ma non vive più questa sua condizione con disagio, ma al contrario come possibilità di non farsi mai omologare, condizionare, restando se stesso e diventano “perfetto” rispetto alla sua interiorità.
Se avessi una bacchetta magica, quale sarebbe la tua prima magia?
Poter parlare con chi non c’è più, con i miei cari scomparsi per avere delle risposte, un senso, una possibilità d’amore non più perduto.
Tre aggettivi per definire la tua raccolta di poesie “L’estraneo perfetto”?
Sincera, essenziale, diversa.
C’è un personaggio di un tuo libro con il quale “hai litigato”? Un personaggio ribelle nei confronti della tua penna? E se sì, alla fine chi ha vinto, tu o lui/lei?
In un mio racconto, “La coscienza di un violino”: dovevo dar vita a un violino, un violino magico, ma come il Mosè di Michelangelo non ne voleva sapere di parlare, di farsi vivo. Restava inerme sulla pagina, inerme nella mia fantasia, inerme per il lettore. Alla fine, dopo aver parlato con un violinista professionista e diverse ricerche, ha preso a parlare e non ha più smesso, tanto che ancora oggi me lo porto petulante in testa!
Il tuo incubo peggiore?
La pagina bianca per sempre. Quando succederà non sarò più vivo, magari non vivrò ancora al cimitero, ma dentro sarò già morto. È l’incubo che cerco di scongiurare ogni giorno.
Quali sono gli autori contemporanei che preferisci?
Sto imparando a conoscere Barbero, la sua narrativa storica letteraria è una bella scoperta. Per il resto da Editor e organizzatore di eventi culturali devo spesso leggere autori a me vicini, anche miei amici, e di conseguenza menzionare uno rispetto all’altro diventa molto difficile, se non impossibile!
Hai 1000 caratteri per sfogarti su ciò che non ti piace o non sopporti. Faccene sentire quattro!
Non sopporto quello che io chiamo “i comandanti”, quelli sempre sicuri di sé, che non sbagliano mai, anche se poi i loro errori sono palesi, evidenti, ma non li ammettono mai riversando, invece, la colpa sempre su gli altri, e anzi offendendo e considerando tutti degli stupidi. A queste persone mi sono sempre ribellato, spesso cominciando dalla penna, li ho magari derisi, messi a nudo, e solo alla fine capiti, ma come un padre può capire un figlio piccolo piccolo, molto piccolo.
Ma non sopporto pure l’assenza, il non esserci. Perché tutti abbiamo bisogno di affetto, presenze, abbracci, sorrisi, messaggi, legami. Quando poi l’assenza proviene da un familiare, magari stretto, genitori, fratelli, zii, o da chi si definisce tuo grande amico, allora ripago con la stessa moneta, scompaio, vado avanti cercando nuovi e più degni affetti.
Che cosa pensi del mondo social?
Sono un male necessario. Per chi come me si offre al pubblico, non sono come autore, ma appunto Editor e Copy, diventano uno strumento ineludibile. Ma restano un male: i sepolcri imbiancati della modernità. Sono il regno delle belle apparenze. Su i social siamo tutti bravi, belli, buoni, perfetti. E la cosa peggiore è che questi sepolcri stanno aumentando sempre di più, si moltiplicano tanto che ognuno di noi ne ha diversi. Mi domando se ne i prossimi anni resterà ancora spazio per la verità. Forse, solo la poesia può resistere a questa dilagante falsità delle belle apparenze. Lo spero.
Di quali argomenti detesti parlare o quali argomenti trovi particolarmente noiosi?
Macchine, calcio, politica. Non perché siano noiosi in sé come argomenti, ma perché quasi sempre se ne parla come argomenti nazionali di cui nessuno sa niente, fiato al vento.
Storia dell’Africa, medicina olistica e letteratura spagnola. Se fossi costretto a studiare approfonditamente una di queste tre materie, quale sceglieresti e perché?
Storia dell’Africa. Proveniamo tutti da lì, ed è il continente più grande e misterioso per me da immaginare. Studiarlo sarebbe come ritornare all’origine di molte conoscenze. Penso che dovrò farlo prima o poi.
Un caso di abdaction. Purtroppo gli alieni ti hanno rapito. Hai tre minuti per parlare loro della nostra civiltà (o inciviltà .... come preferisci)
Gli descriverei in poche parole un film, Qualcosa è cambiato, il mio preferito: la storia di un uomo affetto da mille nevrosi, ma pure sempre in cerca dell’amore e della felicità, e pronto a cambiare, a migliorare, quando amore e felicità finalmente compaiono all’orizzonte. Penso sia la nostra condizione attuale come civiltà: sospesi tra nevrosi e paura ma pure tesi sempre a una lontanissima felicità.
Se avessi l'opportunità di viaggiare nel tempo, dove andresti e perché?
Nei primi anni del Duemila per avvertire i miei genitori e salvarli da un orribile male come il Cancro. Troppo poco ho fatto, niente posso più fare oggi. Sarebbe la mia salvezza come uomo.
Sei davanti ad Aristotele. Che cosa gli diresti dei tempi di oggi?
Che non siamo mai usciti dalla caverna, e che tutti ancora continuiamo a vedere ombre della realtà che diamo per vere, solo che le ombre ora si proiettano su schermi di cellulari e computer, mentre la realtà resta a noi sconosciuta fuori dalla caverna di noi stessi.
Quali oggetti del nostro tempo porteresti con te per dimostrare a Napoleone che provieni dal futuro? Ne puoi scegliere solo tre. Inoltre hai la possibilità di porgli due domande. Che cosa gli chiederesti?
Il cinque maggio di Manzoni, un libro di storia sulla battaglia di Waterloo, un’automobile. Gli chiederei: «Perché hai voluto conquistare il mondo, e che cosa hai provato quando ci sei quasi riuscito?».
Che cosa vorresti far sapere ai tuoi lettori?
Che ogni mia pagina è sincera, anche quella più di fantasia, perché sincero è stato il cuore di chi ha scritto. E questo è un valore comunque e sempre.
Hai un episodio della tua vita, o legato alla scrittura, che ti piacerebbe condividere con noi?
Era uscito il mio primo libretto, in realtà non solo mio perché si trattava di una raccolta di poesie cui avevo partecipato insieme ad altri autori. Mia madre non aveva mai mostrato interesse per la mia attività di autore. Questo ovviamente mi dispiaceva. Un giorno, però, entrato nella camera dei miei genitori per prendere non so che cosa, aprendo un cassetto notai una copia del mio libretto messa gelosamente da parte. Si trattava della copia che avevo regalato a mia madre sperando in un suo apprezzamento. L’apprezzamento non c’era stato, il tutto era passato in pratica sotto silenzio. Ma ora il libro era lì, in un cassetto, firmato da mia madre e gelosamente custodito. Era il suo modo per darmi attenzione: conservare con cura e leggere poi, lontano da tutti con attenzione.
Sorrisi. L’orgoglio per un figlio ha tanti modi per manifestarsi, e ancora oggi, pur non essendoci più, continua a dimostrarmelo in mille forme.
Grazie, Nicola, per la tua disponibilità. È stato molto gradevole intrattenermi con te. Ti auguro di realizzare ogni tuo sogno letterario e non!
Noi, cari lettori, ci vediamo alla prossima con un nuovo autore o autrice da conoscere!
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DESCRIZIONE
A tratti riflessione universale in versi a tratti autobiografia poetica, L’estraneo perfetto si presenta come una raccolta lirica intensa e variegata. Con un linguaggio essenziale l’autore dipinge un viaggio, sospeso «fra passato e futuro», alla riscoperta del Sé e alla scoperta del mondo. È un percorso di scavo all’interno della propria emotività, alla ricerca delle «amorose radici» familiari, è la cronaca di una evasione impossibile che penalizza chi non riesce a rinunciare alla fantasia, è il resoconto del confronto con gli «orchi del cuore» che ognuno di noi incontra nella vita. Ed è infine, se non soprattutto, il ritratto di uno scrittore che si guarda allo specchio: il Poeta è sì un «invisibile» costretto ad adattarsi al «tempo pallido» della Prosa, ma è anche un ribelle che vive dell’«eterno altrove» dell’immaginazione, destinato, come la fenice, a risorgere «di felicità sempre più affamato/di felicità sempre più feroce».