Carissimi,
benvenuti in questa nuova rubrica dedicata agli autori della microeditoria No Eap. Chi di voi già mi segue sa che nelle interviste tendo a essere irriverente e dissacrante, ma in questa sede cercherò di fare la brava e di limitarmi a domande mirate a conoscere meglio l'ospite della giornata. Dalle risposte certamente avrete agio di conoscere meglio la persona che si nasconde dietro un'opera letteraria o poetica. Molto, infatti, anche di inaspettato può emergere da una semplice chiacchierata.
E ora pronti a conoscere un po' meglio Rosa Elenia Stravato come persona e come autrice? Sì? E allora vamos! Eh no! Prima vi ricordo di iscrivervi al gruppo Facebook che amministro ("Solo editoria non a pagamento"), sempre che siate curiosi di scoprire nuovi autori della microeditoria No Eap.
Chi si nasconde dietro l’autrice Rosa Elenia? Puoi parlarci un po’ di te, delle tue
passioni e dei tuoi interessi?
Boom, che domandone alla Marzullo!
Dietro l’autrice Rosa Elenia si manifesta la persona che sono. Non nascondo nulla. Sono una persona diretta, assertiva, aperta al dialogo costruttivo, un’attenta osservatrice che tende a sospendere il giudizio per abbracciare la diversità. Dietro la mia penna ci sono ore di studio, incontri e scontri; c’è l’amore e le sue mille declinazioni, le delusioni con le quali ho scelto di andare a bere un caffè, i treni persi perché in cerca del fatidico “momento giusto” ma c’è - soprattutto - la determinazione e la scelta consapevole d’aver battuto la strada giusta, quella che da un piccolo paesino del Sud mi ha portata a Roma per studiare scrittura teatrale. Dietro l’autrice c’è una ragazza con pochi fronzoli, scanzonata. Una che ha dato forma ai propri sogni con dedizione e ammirazione per i successi altrui, una che ha teso la mano anche alle persone sbagliate ma che mai si è pentita di donarsi agli altri. C’è una ragazzina che, sognante, ha sempre scelto la carta e la penna per raccontarsi e che ha cercato di farne un mestiere. C’è una persona limpida che riesce a passare da toni pomposi a quelli più scabrosi, che preferisce dire le cose come stanno piuttosto che fare dei giri pindarici. Mi piace essere una brava persona che dona parte di sé stessa perché la vita è una sola e non serve tenersi le cose dentro. Una persona viva, direi. Rosa Elenia è una persona che ride di sé stessa in continuazione, che si critica in loop e che esige molto da sé stessa. Una che prende tutto sul serio, specialmente quando si tratta degli altri che mette sempre al primo posto e questo spesso è pericoloso ma, tanto, vale sempre la pena scegliere di porgere il proprio sé. Sono convinta che un’idea possa sempre essere fioriera di nuove frontiere e che lo studio debba essere la chiave d’accesso al mondo e per questo ho un’idea sacra della formazione. C’è sempre necessità di capire il nostro tempo, di annusarlo. Del resto Bauman ci ha ricordato che la società è liquida, perciò a che serve cercare contenitori al nostro sapere quando è così potente se lo si vive in divenire? Autrice e persona coincidono. Coincidono terribilmente. È qualcosa, a mio avviso, che ha a che vedere con la coerenza e la dignità. Certo, con le dovute distanze dai personaggi che descrivo ma mi piace indossare vari abiti quando stendo le storie! È divertente, non credete? Indossare i panni più comodi e quelli meno consoni alla nostra fisicità per imparare a prendersi meno sul serio, per gustare quella squisita lezione di Calvino sulla leggerezza “non avere macigni sul cuore”.
Amo la cultura e credo che debba essere, in tutte le sue declinazioni, il valore aggiunto di ogni individuo. Amo il teatro per il quale e grazie al quale ho appreso il valore autentico del sacrificio, della dedizione e dell’attenzione ai particolari. Da piccola sono stata folgorata dalla visione di una commedia di Eduardo e non me ne sono mai separata, anzi, credo sia stato in quel preciso istante che ho scelto il mio destino. Amo la scrittura perché veicolo di conoscenza, analisi, ricerca; è una voce interiore capace di dominare gli impulsi perché, è vero che si scrive di getto ma occorre rileggersi e dare un peso a qualsiasi parola. Il cinema ha accompagnato la mia vita rendendomi ancora più curiosa e ha popolato la mia fantasia, specialmente grazie a Tim Burton. Leggere è il mio sport olimpico: giro le pagine con una dimestichezza quasi innata. Mi piace la musica dei cantautori e ritengo sia il miglior collante delle giornate. Amo formare i giovani, parlare con loro e cercare di capire come poter rendere loro consapevoli di essere ognuno autenticamente imperfetto. Perché si, in un mondo come il nostro, c’è bisogno di educare all’imperfezione. Che noia cercare l’essere perfetto! Saremmo tutti identici, invece è strabiliante amare le singole autenticità! Sono così come mi si vede e legge: viva e schietta.
Che bambina era Rosa? E che adolescente?
Ero una bambina, senza ombra di dubbio, buffa. Non avevo molti capelli e mi piaceva giocare con giornali e penne. Grandi occhi sgranati sul mondo e il cuore colmo di gioia e amore. Un cuore contento. La mia infanzia è stata una bella giostra: una famiglia amorevole e attenta, sempre protesa a proteggermi e difendermi da ogni piccolo possibile turbamento ma che mi ha saputo rendere responsabile e preparata al dolore e alle difficoltà. Una bambina innamorata dei suoi nonni Franco e Michele e amata terribilmente tanto da loro. Una bambina che sin da subito ha iniziato a viaggiare e a respirare il dialetto napoletano apprendendolo come se fosse la lingua madre. Una bimba che è sempre stata circondata da affetti e che, malgrado la distanza dettata dal lavoro di mio padre, ha saputo vivere la bellezza dell’attesa. Una bambina molto stimolata dalle zie, abituata al contatto con gli animali e tanto insaziabilmente curiosa. L’adolescenza è stata una prosecuzione della mia infanzia. Dal momento in cui ho cominciato a leggere e a scrivere, ho iniziato a vivere in maniera magica ogni singolo evento cercando di raccontarlo nel modo più intenso ed avvolgente. L’adolescenza è stata dinamica, non la definirei una “passeggiata di salute” ma è stata piena di eventi, avventure, esperienze che mi hanno portata ad essere più autentica ed autonoma. Alle scuole medie ho avuto il privilegio di imbattermi in due docenti, di italiano e matematica, capaci di farmi sentire al mondo e di mostrarmi la bellezza dell’essere non omologata; al Liceo ho appreso la triste lezione della falsità umana e della pochezza ma è servito. È servito a non essere come mi si voleva, a difendere i miei ideali anche se questi potevano non rispondere ai gusti del docente di turno. Ho scelto d’essere come mi sentivo, sempre, avendo la premura di rispettare il prossimo senza svendermi. Ho assaporato le prime rivoluzioni amorose confrontandomi con un mondo affascinate e capace di fare di William Shakespeare e delle sue tragedie le mie migliori armi per combattere delusioni e sentimenti indecifrabili. Sono stata e sono una persona fortunata e devo dire grazie alla mia famiglia e alla vita in generale. Forse, la mia adolescenza, è stata un frullatore messo alla massima velocità ma pieno di colore al suo interno.
Come ti immagina da anziana?
In realtà, ci sono giorni in cui indosso con disinvoltura i miei cento anni. Sono una sorta di anziana sotto mentite spoglie. No, dai! Scherzo!
Avete presente la nonna del film Disney “Red and Toby”? Bene. Aggiungeteci un pizzico abbondante della celebre Sora Lella: ecco… Mi immagino così!
Sorniona, curiosa e simpatica, una di quelle nonnette pronte a raccontare il mondo ai nipoti. Una di quelle persone piacevoli, chiacchierone e piene di luce. Mi piacerebbe avere la sfrontatezza illuminata della Littizzetto pronta a dare la risposta ad hoc nella maniera più diretta e colorita. Non mi immagino piena di salute ma vorrei mantenere in vita, il più a lungo possibile, il cervello e la sua lucidità. Ho una nonna materna di 91 anni che ha una memoria pazzesca e una forza autentica, mi piacerebbe avere il suo groove per dirla musicalmente. E mi piacerebbe, anche, avere la voglia di andare e di non lasciarsi vincere dal tempo che passa che appartiene alla nonna paterna.
Se dovessi raccontarti con un quadro, quale quadro sceglieresti e perché?
La storia dell’arte mi affascina e scegliere una sola opera è un’impresa difficilissima. Esiste però un’opera che mi squarcia il petto per la sua storia, per quello che è capace ogni volta di suggerirmi: la Fedra di Alexandre Cabanel del 1880. Rappresenta la devastante vicenda della protagonista della tragedia greca antica scritta da Euripide. Credo che Fedra sia una delle donne più affascinanti partorite dalla storia della letteratura e Cabanel la mostra nella sua eterea bellezza. Donna affranta da una passione insana, travolgente e pari al fuoco si mostra nella sua eleganza, arsa dai mille dubbi. La figura di Fedra, che significa “la lucente” trionfa nell’opera grazie al suo pallore esaltato dal rosso, dal nero e dall’oro degli arredi. Inoltre il bianco del lenzuolo sembra voler raccontare oltre le righe quella dignità furente che l’amore spesso sceglie di calpestare come vezzo o capriccio.
Recentemente ho scoperto la meravigliosa “Simbiosi” di Edoardo Tresoldi. Un’ opera site-specific. Disarmante. Viene voglia di scomparire al suo interno. È un viaggio in un mondo altro, immateriale . Ecco, forse, entrambe le opere citate sono catartiche per me. Mi danno la sensazione di poter vivere la vita in maniera complessa, fluttuante, più intensamente. Entrambe mi raccontano l’amore e lo legano a un desiderio continuo, perpetuo capace di portare l’uomo a scomparire in questo mistero. Affascinante e devastante al contempo.
Ci vuoi raccontare qualche aneddoto legato alla stesura del romanzo?
Il romanzo è legato alla città di Roma e agli incontri che hanno costellato la mia vita dapprima universitaria e poi lavorativa. È stato un lavoro di scrittura e riscrittura, ci sono state varie versioni e numerosi dubbi in merito alla creazione di talune situazioni.
Molti degli avvenimenti descritti sono estrapolati dall’attenta osservazione del mondo universitario e teatrale che ho avuto modo di vivere, annusare. Ci sono ore di osservazione alla fermata dei tram e dei bus, passeggiate in solitaria e incontri con persone che, indubbiamente, hanno colorato la mia vivace fantasia. Ci sono, perciò, tanti aneddoti.
I personaggi di Totta, Vale, Ramona, Etta e Giorgy sono un’omaggio a delle persone fondamentali nella mia vita. La scelta del nome “Ramona”, ad esempio, nasce in un pomeriggio assolato di fine giugno al Pigneto. Ero con la mia amica quando, malgrado il suo nome fosse Ludovica, una persona ha asserito con un dialetto pugliese marcatissimo “Oh, a me tu sai di Ramona!” e da lì è nata la volontà di tramandare questo nome ai lettori.
Senza ombra di dubbio un momento topico è stato la scelta di inviare il manoscritto alla casa editrice. Ho una considerazione somma del gruppo editoriale Les Flaneurs al quale, fortunatamente, appartengo. Ero spaventata e mi sentivo impreparata, piccola per affrontare l’editore ma grazie al mio compagno e ai miei amici fedelissimi ho trovato il coraggio. È stata un’avventura titanica, sino a che non ho ricevuto la mail nella quale mi si comunicava la volontà di pubblicare il mio romanzo, ho avuto gli incubi. Ho, ripetutamente, sognato il mio editore inseguirmi con un’ascia e il manoscritto infuocato. Una volta, poi, pubblicato il romanzo ho confessato tutto ad Alessio Rega e sono stata abbandonata dal grande incubo.
“Il profilo del tempo” è un romanzo edito da Les Flaneurs Edizioni. Hai un pensiero
da rivolgere al tuo editore?
Assolutamente si! Sembra banale ma la parola che devo adottare è uno stratosferico “grazie”.
Ho avuto esperienze con varie case editrici sia direttamente che indirettamente e con mansioni differenti e ho valutato attentamente a chi mandare il manoscritto. Si! Perché esiste una differenza abissale tra “stampatore” ed “editore”. È una differenza, a mio avviso, inconciliabile.
Alessio Rega è un editore attento e capace che ha mostrato dedizione, attenzione e rispetto sin dal primo istante verso il mio romanzo. È una persona che ha costruito una casa editrice indipendente attenta alla qualità degli scritti che propone, una casa editrice popolata da gente che non si improvvisa ad essere qualcosa ma che è ciò che fa.
Sono molto cresciuta sia umanamente che professionalmente perché sono stata guidata in un cammino, ancora in corso d’opera, con persone competenti. Devo dire grazie al lavoro di squadra che ha coinvolto professionalità differenti: l’editor Sara Saffi, la grafica di Gaetano Argentieri, l’ufficio stampa di Dino Cassone. È un privilegio immenso essere parte di questa casa costellata da numerosi talenti e capace di restituire quel retrogusto di “vie bohème” che educa alla bellezza d’essere autentici, girovaghi del mondo, insaziabili di risposte e in cerca di nuovi orizzonti culturalmente stimolanti differenti dai luoghi comuni.
Quindi il mio grazie è un abbraccio accogliente per le ore dedicatemi, per la pazienza, il supporto. Per ogni piccolo passo che stiamo facendo tutti insieme come una grande casa fatta di parole e inchiostro. Per i legami umani che, sin da subito, mi hanno fatta sentire parte di un mosaico incandescente e pazzesco. È bello respirare un clima coeso tra autori che si riconoscono come parte di un comune sentire.
Ad Alessio, Annachiara e Les Flaneurs Edizioni per tutto quello che hanno donato e che continuano a donare dico, dal profondo, “grazie”!
La tua location ideale per scrivere?
Io scrivo ovunque e dovunque: agendine, tablet, fogli occasionali, bigliettini sparsi, appunti sul cellulare. Scrivo ogni giorno qualcosa. Detto ciò, poi, per dar forma ai pensieri mi serve serenità, specialmente quando devo tirar fuori la storia in maniera sistematica e precisa. Mi serve poco per scrivere: una base d’appoggio, il mio Pc e della musica che accompagna la stesura della storia. La mia stanza è una delle tante location ma “Il profilo del Tempo” ha trovato casa sicura nel parco di Villa Torlonia a Roma, nella Fondazione Paolo Grassi di Martina Franca, nelle aule delle Ex Vetrerie Sciarra a San Lorenzo e davanti all’Orologio ad Acqua di Villa Borgese. Mi piace vivere la scrittura come luogo per me stessa. È lo stesso atto di scrivere la mia stanza ideale. Anniento il mondo quando scelgo con cura le parole, è perfetto così, non ho bisogno di un luogo deputato immutabile.
Quali sono i romanzi che hanno segnato di più il tuo cammino da autrice?
Sin da piccola sono stata una divoratrice seriale di libri. Mia mamma tremava quando passavamo davanti ad una libreria, sapeva che sarei uscita con un bottino e che non mi sarebbe bastato solo quello perché lo avrei presto esaurito. Sono inciampata, piccolissima, nella storia di Alexandre Dumas “La dama delle camelie” e ne sono rimasta folgorata. Ho un amore peccaminoso, oserei dire, per la penna di Calvino e le sue utilissime “Le lezioni americane” che costituiscono, a mio parare, l’abc per gli autori. “Il barone Rampante” come “Le città invisibili” sono due evergreen. “Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci è stato così capace di abitarmi dentro da sentirmi distrutta dai suoi tormenti. “Madame Bovray” di Gustave Flaubert e “La nausea” di Jean-Paul Sartre mi hanno traghettata dalla scuola media alle superiori durante l’estate. Hanno veicolato e forgiato la mia scrittura, sicuramente, anche opere di Eduardo De Filippo, Alda Merini, Pirandello, Brecht, Shakespeare, Spregelburd. Un’autrice fondamentale è Sarah Kane. Potrei continuare il loop perché sono un’amante della lettura e di vari generi. “L' alchimista” di Paulo Coelho fa parte delle amabili letture che hanno solleticato la mia fantasia ma ce ne sono davvero tantissime. Ogni autore dal più noto al meno, lascia sempre qualcosa di sé nel lettore. È innegabile.
C’è un personaggio di un tuo romanzo con il quale “hai litigato”? Un personaggio
ribelle nei confronti della tua penna? E se sì, alla fine chi ha vinto, tu o lui/lei?
Non amo litigare con i miei personaggi, cerco di capire che cosa potrebbe funzionare meglio in loro. La mia insegnante di scrittura teatrale ci rimprovera spesso: “mai affezionarsi troppo a un personaggio o a una battuta”, è la cosa più difficile da fare ma è doverosa. Devo ammettere che ci son stati incontri con personaggi complicati. Personaggi che ho dovuto abbandonare perché, a livello narrativo, non davano colore alla storia. Personaggi ai quali mi ero legata ma che non svolgevano alcuna funzione. La stesura dei personaggi, questa è una chicca che mi porto dallo studio della scrittura teatrale, mi porta via tantissime ore e lo ha fatto con la scrittura di quelli che trovate nel “Il profilo del tempo”. Ho studiato, per ognuno di loro, la camminata, la parlata; ho delineato la fisionomia cercando di donare obiettivi e indirizzi alle loro azioni. I personaggi sono azioni. Insomma, chi leggerebbe una storia in cui i personaggi non fanno nulla? Quando scrivo i miei personaggi, faccio loro tante domande. Ho lavorato parecchio su Edo perché volevo lasciare più dubbi nel lettore piuttosto che servire soluzioni tout court ed è stato più complicato perché ho dovuto limare molto le informazioni sulle sue scelte e azioni. Ho dovuto limare molte spiegazioni e connotarlo come la persona nella quale giammai io mi imbatterei. Però, abbiamo vinto entrambi. Un ex aequo!
Il tuo incubo peggiore?
In ogni momento da qualche parte del mondo è notte e la gente sogna cose belle come brutte. Già questo basta per affascinare, non credete?
Anche i più forti hanno paura e non possono esimersi dal nefasto auspicio che si avverte quando si inciampa negli incubi. Sono tante le paure che tempestano la mia mente, ne sono consapevole. L’incubo ricorrente, per qualche tempo, è stato quello di assistere a uno stupro di una persona a me cara e non poter fare nulla poiché bloccata in un sotterraneo. La guerra è l’incubo atroce che, tuttavia, è dietro il nostro “solito altro giorno”. Sfortunatamente siamo in balia di un conflitto che potrebbe deragliare in qualsiasi istante ed è come essere sul filo di un funambolo. Un incubo, personale, sarebbe quello atroce di vivere in maniera passiva la vita, non emozionarmi più. Non sentire più nulla. Non vorrei mai diventare apatica, non sarebbe vita. Così come non potrei vivere in un contesto nel quale mi si priva di manifestare la mia libertà di pensiero. Mi terrorizza la censura perché credo nella libertà intellettuale.
Quale dei sette vizi capitali ti rappresenta di più?
Avrei tanto voluto scrivere un’opera su i vizi capitali e ho qualche appunto sparso! Detto ciò mi sembra di poter cascare in qualsivoglia dei vizi a seconda della situazione. Mi affascinano le declinazioni che possono assumere e le suggestioni che possono evocare a seconda dei tempi storici che attraversano. Il vizio che più potrebbe calzarmi? Direi l’avarizia traslando direttamente il suo significato dal latino “avaritia” e interpretandola come “avidità della fame”. Laddove per “fame” intendo la sete di conoscenza e di scoperta continua, repentina e insaziabile che alimenta la mia vita. Penso che, ad oggi, sia ambizioso restringere a soli sette vizi il campo. Secondo me ne sono nati diversi e probabilmente sono il frutto della nostra evoluzione. Sta a noi individuarne le pecche, le contraddizioni e magari le potenzialità eventuali.
Quali sono gli autori contemporanei che preferisci?
Donato Carrisi è un maestro del thriller con una capacità di scrittura disarmante. Poi, ci sono Roberto Saviano e Mario Desiati. Mi piace molto la penna di Dacia Maraini e quella di Marco Missiroli. La penna di Margaret Mazzantini mi emoziona notevolmente. Recentemente ho scoperto Valentina Petrini di cui adoro la capacità di fotografare una scomoda realtà e restituirla con una carica pazzesca. Nel “Il cielo oltre le polveri” racconta il disincanto nell’acquisizione di verità disarmanti, descrive una Taranto ripiegata su sé stessa, avvolta da cupidigia e menzogne. Un testo universale per l’incandescenza del messaggio di cui si fa portavoce.
Hai 1000 caratteri per sfogarti su ciò che non ti piace o non sopporti. Faccene sentire
quattro!
Non amo le persone approssimative, arriviste e quelle che fanno del pettegolezzo un’arma per demolire gli altri. Amo la coerenza, la capacità d’essere onesti e sinceri. Condanno apertamente quelle persone che, per ignoranza e pigrizia mentale, considerano le materie umanistiche e i lavoratori dello spettacolo come se fossero dei poveretti che non fanno un lavoro. Non amo i classisti, gli arrivisti e i qualunquisti. Non mi piace la politica attuale, troppo interessata a mostrarsi piuttosto che educare alla conoscenza che si cela dietro gli ideali. Penso che tutti non possano fare tutto e che le competenze, lo studio e l’aggiornamento siano “must have” che devono spodestare gli improvvisatori di mestiere. Vedo troppa gente che s’improvvisa tuttologa e questa cosa mi infervora perché non si può giocare ad essere dei super uomini quando è nel riconoscimento dei propri limiti e delle proprie virtù che ci si manifesta quali esseri umani. Credo nelle persone che scioperano perché difendono le proprie idee e lottano per i propri diritti e non amo i leoni da tastiera, i commentatori di professione e gli urlatori che non muovono il culetto dalle loro sedie e si vestono di paroloni ridondanti pronte a dare la loro opinione come se fossero delle specie di divinità viventi. Ah! E non mi piace la gente che vuole avere ragione a priori e che non accetta la verità così come è perché crede di saperne di più di chi ha agito in quel determinato modo. Quelle persone che cercano nella platea il consenso e che utilizzano la non assertività per demolire, annientare l’altro. Non lo accetto assolutamente! La mia filosofia di vita risponde a un imperativo categorico presente nel Faust di Goethe: “prima di fare bisogna essere!”, perciò mi mal predispongono quelle situazioni che non rispondono alla coerenza.
Scegli un personaggio di un cartone animato da portare a cena
Andrei a cena con Mamoru Chiba. Avete capito di chi parlo? È Milord, il misterioso gentleman di Sailor Moon. Mi andrei a mangiare un succulento piatto di bucatini all’ Amatriciana in una bella osteria romana a qualche passo da Testaccio con un bel vinello rosso. Mi piacerebbe sentire il suono della sua voce, fare domande scomode, cercare di capire tante cose di lui e avere il privilegio di osservare quello sguardo magnetico che da piccola mi mandava fuori di testa. È chiaro che cercherei di togliere quella mascherina che indossa, magari mi farei dare una mano dal vino!
Medio Oriente, Cina di Mao Zedong e Inghilterra vittoriana. Se dovessi per forza
ambientare un tuo romanzo in uno di questi paesi, quale sceglieresti e perché?
L’Inghilterra dell’epoca vittoriana mi affascina da sempre per le sue contraddizioni. Avrei voluto incontrare Robert Louis Stevenson e spiarlo mentre scriveva quel capolavoro assoluto che è “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”. La seconda metà dell'età vittoriana, mi piacerebbe raccontare poiché ha coinciso con la prima parte della Belle Époque. Racconterei, probabilmente, un amore tormentato e tediato dalle imposizioni della società. Come è noto, durante il periodo vittoriano, la società inglese fu animata da grandi lacerazioni socio-culturali e precari equilibri tra ipocrisia e realtàà dello sfruttamento, fede e scienza. A mio avviso è un’epoca nella quale poter ritrovare parecchie suggestioni che hanno punti di contatto con la nostra modernità.
Quali argomenti trovi particolarmente noiosi?
Sono abbastanza curiosa ma mi annoia, decisamente, chi si lamenta in loop di ogni cosa. Chi parla senza avere contenuti, giusto per dare aria alla bocca. Chi non ha argomenti mi annoia e mi spaventa al contempo. Come si può no essere vogliosi di informazioni? Come si può non avere un’idea partendo da una semplice provocazione?
Quali generi letterari ti appassionano di più?
I romanzi d’amore mi appassionano, mi trascinano. Mi piace la poesia e i testi umoristici perché credo che la comicità sia un’arte complessa ma necessaria in una società come la nostra. Anche gli young adult mi rendono molto partecipe come le graphic novel. Mi piacciono le storie, le loro rotte indecifrabili a priori, mi piace sperimentare varie tendenze e forme. Quindi, ben venga se mi imbatto in generi che non prediligo particolarmente. Prima di imbattermi nell’opera che ha consacrato mondialmente Donato Carrisi, “Il Suggeritore”, mai avrei pensato di poter leggere i thriller. Ora ne sono ammaliata anche se preferisco leggere questo genere al mattino o al primo pomeriggio per evitare di suggestionarmi prima che giungano le tenebre. In sostanza ritengo che non sia costruttivo porsi dei limiti e quindi ascrivere la selezione dei libri ai generi. È bello potersi stupire di una storia e magari rendere eloquente un aspetto di noi che sino a quella lettura ci era insolito.
Fisica quantistica, fisiologia umana e storia delle tradizioni popolari. Se fossi
costretta a studiare approfonditamente una di queste tre materie, quale sceglieresti e
perché?
Non credo di essere portata per nessuna delle tre proposte ma escluderei sia la fisiologia che la fisica quantistica in quanto il mondo scientifico è quanto di più lontano dalle mie corde. Venditti canta “la matematica non sarà mai il mio mestiere”, ebbene, per me questo discorso va esteso a tutto l’ambito scientifico. Non ho le competenze per approcciarmi alla scienza che ritengo fondamentale ma non ho la mente allenata a supportare le sue concatenazioni. Ho avuto occasione di leggere molti testi di antropologia per ragioni legate ai miei studi universitari. La storia delle tradizioni popolari sarebbe interessante per poter analizzare analogie e differenze tra le varie zone del mondo. Potrebbe essere un piacevole viaggio tra usi e costumi e, presumo, potrebbe costituire una ricchezza personale capace di evocare storie da riscrivere o dalle quali partire.
Un caso di abdaction. Purtroppo gli alieni ti hanno rapito. Hai tre minuti per parlare
loro della nostra civiltà (o inciviltà .... come preferisci).
Siamo un popolo colorito, animato da differenze e contraddizioni. Siamo un insieme eterogeneo che cerca costantemente di reinventarsi e di omologarsi a un sistema che propina immagini ideali per poi invocare la diversità quale valore. Abbiamo leggi che spesso infrangiamo e brutte pagine di storia ma ci sono posti belli da togliere il fiato e personaggi straordinari. Abbiamo menti brillanti, sogni e cerchiamo nel progresso la risposta all’evoluzione necessaria. Siamo ospitali eppure c’è spazio anche per i razzisti, siamo chiacchieroni e spesso non comunichiamo come dovremmo. Raccontiamo la nostra evoluzione ma mostriamo, a tratti, del bigottismo. Siamo ossessionati dal bisogno di raccontarci ma è difficile trovare qualcuno disposto ad ascoltare, profondamente, quello che abbiamo da dire. Abbiamo maltrattato la nostra Terra ma c’è gente che lotta per difenderla e tutelarla. In fondo, non siamo male, che ne dite di una bella pizza con vista golfo di Napoli?
Se avessi l'opportunità di viaggiare nel tempo, dove andresti e perché?
Chi mi conosce da tempo è consapevole della mia spudorata passione per la Belle Epoque, dunque, il periodo che va dal 1871 al 1914. Mi piacerebbe vivere la Parigi del Moulin Rouge e respirare a pieni polmoni il quartiere di Pigalle. Probabilmente sceglierei di vestire i panni di una delle danzatrici illustrate da Toulouse Lautrec. Nella mia fantasia, questo periodo, è molto simile a quello che Baz Luhrmann ha reso nel celebre musical del 2001. Penso che sia stata un’epoca affascinante e degna di fiumi d’inchiostro. All’epoca il femminismo aveva assunto un'identità divergente e punti di vista antitetici. Se da una parte si ricercava l'uguaglianza con gli uomini, dall’altra era evidente la condanna sociale dei dei costumi specialmente nei riguardi dei problemi legati alla prostituzione. Si inizia a delineare un’idea moderna di femme fatalee Parigi diventa il cuore pulsante di questa rivoluzione che ha il culto della moda femminile. È, decisamente affasciante pensare di poter vivere un’esperienza simile laddove la donna rispondeva ad un corpo sinuoso, occhi e capelli nerissimi e labbra carnose. Dove lo sguardo acquista la proprietà del magnetismo. L’emancipazione femminile spaventava e preoccupava, chiaramente, la società borghese e maschilista che vedeva nel modello di donna descritto una bellezza perversa, aggressiva, crudele e spregiudicata. Eppure, la società benpensante era attratta dal fascino che le donne sapevano raccontare. In Francia le cosiddette “tre Grandi” ovvero: Carolina Otero, Liane de Pougy, Emilienne d’Alençon, costituirono una vera e propria moda legata alla condanna aperta ma all’ammirazione ideale per il loro spirito libertino. Mi piacerebbe sperimentare questo periodo poiché, sperimenterei qualcosa che mi è tanto distante.
Se dovessi scegliere un regista per la trasposizione cinematografica del tuo romanzo,
chi sceglieresti?
Per me, questa domanda è pericolosissima dato l’amore profondo che nutro per la cinematografia. Il mio romanzo è pieno di cinema! Lo è anche la mia vita, dato anche l’excursus degli studi che ho intrapreso. Il cinema, come diceva qualcuno, è l’ennesima potenza del teatro. Oserei dire della vita stessa. È il leitmotiv che lega i due personaggi principali del mio romanzo. Scegliere un regista significa, a mio avviso, valutare le potenzialità della storia scritta. Per me ci sono dei mostri sacri: Sorrentino, Burton, Tarantino, Almodovar, Allen e Scorsese. Se devo, però, selezionare un regista adatto a restituire la storia che ho scritto, non ci sono dubbi è Ferzan Özpetek!
La sua capacità di rendere i moti dell’anima è stupefacente: Özpetek è capace di raccontare gli eccessi, i difetti e le virtù degli uomini con un’eleganza smisurata, è accorto, mai banale. Penso che la sua regia possa rendere la storia di Edo e Sara un viaggio a vele spiegate nel deserto accaldato di una Roma rovente e ignota. Amo la sua arte cinematografica che è profondamente intrisa di rimandi altissimi, di legami con il mix di culture alle quali lui è legato umanamente. Ozpetek filma la vita, attraverso le sue inquadrature ci porta a vivere quel momento. Mi è capitato, in passato, di inciampare in una riflessione sul suo cinema e credo possa rendere al meglio la mia ipotetica decisione di poter presentare “Il profilo del tempo” a lui: “c’è molto cinema nel cinema di Ozpetek, ma c’è soprattutto un vissuto fortissimo, a volte giocoso a volte doloroso”. Farei firmare la colonna sonora da Antonio Diodato, sarebbe la ciliegia sulla torta!
Che cosa vorresti far sapere ai tuoi lettori?
In primis vorrei ringraziare ciascuno dei miei lettori per il tempo che hanno scelto di dedicare alla storia. In un tempo annegato dalla fretta, annebbiato dal desiderio di fare molte cose assieme è importante essere grati. È una forma di rispetto imprescindibile. Vorrei, poi, far sapere che reputo la scrittura un atto di socializzazione dotata di profonda empatia e per tal motivo mi piacerebbe instaurare un dialogo costruttivo con chi mi legge. È bello ascoltare suggestioni, appunti da chi ha respirato qualcosa della tua penna. È interessante, penso, ricevere anche critiche costruttive sicché “scrivere” rappresenta un’abilità per la quale è necessario formarsi, aggiornarsi e trasformarsi in alcuni casi. E poi vorrei dir loro che, per scrivere, c’è bisogno di tempo e che dietro a un libro esiste una macchina complessa che invito a conoscere perché è dalla consapevolezza che si riesce a tirare fuori l’anima vera delle cose. Vorrei esortare i lettori a leggere la vita con meraviglia, stupore e non scegliere le vie comuni: è così proficua la divergenza che permette d’essere illuminati da raggi incandescenti che consacrano l’autenticità mostrandola per la sua beltà incontaminata. Amate, fatelo follemente. Siate ingordi di vita e di bellezza, scegliete di donarvi a chi ha cura di sorridere dei vostri sbalzi d’umore, a chi non teme il giudizio e si mostra leale. Concedetevi sempre il tempo per guardare i tramonti perché è nel cielo, nelle sue sfumature, che si nasconde la chiave per non accontentarsi di ciò che appare.
Hai un episodio della tua vita o legato alla scrittura che ti piacerebbe condividere con
noi?
Come ho detto, sono stata sempre un’amante della scrittura e per tal ragione sono stata un punto di riferimento per molti amici. Alle scuole medie ero la “scusa buona” per saltare le lezioni. Funzionava così: leggevo delle storie per far in modo che saltassero le interrogazioni su espressa volontà del gruppo classe. Mi faceva sentire amata, apprezzata dai miei compagni. È qualcosa che non dimenticherò mai perché si creava un silenzio assordante e mi capitava, alzando lo sguardo dal foglio, osservare sguardi illuminati. Mi faceva, per davvero, sentire privilegiata. Ho scritto su commissione molte lettere d’amore per conto delle mie amiche. Devo dire che, inizialmente, l’ho fatto con entusiasmo ma poi mi sembrava un atto vile nei riguardi della persona a cui era indirizzato il messaggio. In fondo ciò che contava era il cuore e non la forma e lentamente, per un senso di trasparenza, ho lasciato decadere questa mansione. Ho scritto di amori travolgenti, di storie finite, di invocazioni a ipotetici amori. Una volta, dopo tanto tempo, sono stata fermata da un ex di una mia compagna di classe che mi ha confessato di aver compreso che ero io l’autrice della lettera e che l’aveva trasformata e regalata alla sua nuova fiamma. È stato un momento bizzarro, al di fuori di ogni schema immaginativo.
Rosa, tengo a ringraziarti particolarmente per le tue risposte, mai piatte e frizzanti, e che quindi personalmente ho letto con molto interesse (non mi capita spesso). Sapersi raccontare non è facile e tu lo hai saputo fare con estro, con quel pizzico di ironia che fa la differenza e con quella vivacità mentale che dovrebbe avere ogni autore. Ti auguro di realizzare ogni tuo sogno.
Noi, cari lettori, ci vediamo alla prossima con un nuovo autore o autrice da conoscere!
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