
Oggi vi parlo di un film che non avevo in programma di vedere, ma che ha deciso di venire lui da me. Non ne avevo neanche mai letto la trama. E poiché l’imprevisto esercita sempre un certo fascino, mi sono lasciata trascinare. Mi sono seduta, ho spento il mondo e ho provato a lasciarmi coinvolgere.
“FolleMente” di Paolo Genovese parte da un’idea brillante: dare voce alle personalità interiori di un uomo e di una donna durante un primo appuntamento. Un concetto intrigante, capace di trasformare un momento comune in un gioco metacinematografico potenzialmente esilarante, dove il vero spettacolo non è l’incontro tra i due protagonisti, ma il chiacchiericcio incessante delle loro coscienze. Peccato che il gioco resti sulla carta, e la carta, almeno per me, risulti più spessa della sceneggiatura.
La messa in scena di questa battaglia interiore avrebbe potuto esplorare le dinamiche umane con raffinatezza, ironia e profondità. Invece, il film sceglie la via più comoda: l’accumulo di cliché sulle relazioni uomo-donna. Abbiamo il Professore razionale, Eros focoso, Romeo romantico e Valium ansioso da un lato; Giulietta sognante, Alfa determinata, Trilli seduttrice e Scheggia impulsiva dall’altro. Maschere più che personaggi, sagome di cartone che si agitano in una commedia degli equivoci costruita su stereotipi tanto abusati da risultare sfibranti. I battibecchi tra queste personalità avrebbero dovuto essere l’anima del film, il suo cuore pulsante e invece sono il suo limite: il botta e risposta si fa ripetitivo, le battute spesso piatte, incapaci di portare lo spettatore oltre la superficie.
Il cast fa il possibile per infondere vita in una struttura tanto rigida. Claudio Santamaria e Emanuela Fanelli si distinguono per tempi comici e presenza scenica, regalando qualche guizzo a una sceneggiatura che ne ha disperatamente bisogno. Ma anche il miglior attore può fare poco quando si trova a lottare contro un copione che offre macchiette anziché caratteri sfaccettati. Edoardo Leo e Pilar Fogliati, nei panni della coppia principale, si muovono con impegno, ma faticano a rendere credibili esitazioni e desideri di due personaggi più osservati che vissuti, più raccontati che realmente esplorati.
Il film, nel suo insieme, appare come un’occasione sprecata. L'idea era fertile, la realizzazione sterile. Qua e là si intravedono spunti visivi interessanti, come il recupero delle parole giuste dai cassetti della memoria – una trovata che regala qualche istante di poesia – ma il tutto si perde in una messinscena che non osa mai davvero. Si resta in superficie, ci si accontenta della battuta facile, della strizzata d’occhio, senza mai affondare il coltello nella complessità delle emozioni umane.
Alla fine, si esce dalla sala con un senso di leggerezza che non consola. Perché un film che aveva tutte le carte per essere brillante ha deciso di fermarsi a essere semplicemente carino. E no, non è abbastanza.